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Dubai la vita oltre Walt Disney

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Messaggio Da Ospite Sab 11 Apr 2009, 11:59

Dubai la vita oltre Walt Disney Sid-1609140936


Sarà in libreria il 15 aprile edito da Rizzoli Il canto del diavolo - Viaggio ad Abu Dhabi e Dubai, il nuovo libro di Walter Siti (220 pp, 16,50 euro), un resoconto disincantato nel nuovo regno del lusso globale, gli Emirati Arabi.
Ecco un'anticipazione del brano del libro in cui racconta un po' della Disney

A fianco della fermata del waterbus mi accoglie Topolino: una fune lo tiene ancorato al suolo e dalla parte opposta, anche lui parimenti aerostatico, sorride serafico Pluto; più giù verso Deira, mi dicono, sono ormeggiati Paperino e Nonna Papera. Oggi 16 ottobre è l’ottantacinquesimo anniversario della Disney Company e non mi stupisce che qui lo si festeggi con dispiego di mezzi: già m’ero accorto che Walt Disney è uno dei maîtres-à-penser le cui massime (insieme a quelle di Shakespeare, William Blake, Kipling) vengono riprodotte sui cartelloni. «If you can dream it, you can do it»; «it requires people to make the dream a reality»; «it’s a kind of fun, to make the impossible». Pare che il profilo del Burj Dubai sia stato suggerito all’architetto Adrian Smith dalla Città di Smeraldo del Mago di Oz; uno dei mall prossimi venturi, galleggiante al largo di Jumeirah, sarà ispirato all’Isola-che-non-c’è di Peter Pan – ma sono allusioni di superficie, mentre il rapporto con Disney è più profondo e strutturale. È curioso che il primo corto con Topolino e Gambadilegno (Building a Building, del 1933) sia ambientato sulle impalcature barcollanti di un grattacielo. Gli intellettuali europei degli anni Trenta furono affascinati dalla capacità disneyana di inventare un mondo alternativo, fantasmagoria e allegra sarabanda che aboliva il dolore e rendeva superfluo il rancore storico; ma insieme avvertirono il pericolo di un immaginario totalizzante, dove l’umano non serviva più. «Chaplin», scrive Ejzenstejn, «è il paradiso perduto, Disney il paradiso ritrovato»; ma aggiunge che «lo zuccheroso universo disneyano è in realtà un balletto di pulsioni sfrenate, che respingono chi non si abbandona alla danza macabra, al rigenerarsi delle forme, al suo azzardo verso l’infinito futuro» – e che i suoi personaggi sono «mostri che vogliono essere quello che non sono». Zoomorfismo e animismo degli oggetti, regressione al totemismo puro. Benjamin, nel suo saggio su Mickey Mouse, constata ammirato che i film di Disney «provocano una frantumazione terapeutica dell’inconscio », ma nota con angoscia che «in un mondo del genere non vale la pena fare esperienza» e che in esso «l’umanità si prepara a sopravvivere alla cultura, se questo è necessario». Parole illuminanti che di colpo mi riscattano Dubai: ecco che cosa lo Spirito dei tempi sta cercando di fare qui, all’insaputa dei potenti e dei miserabili – sta preparandosi a sopravvivere alla cultura, o almeno alla cultura come l’abbiamo conosciuta finora. Tra l’altro c’è un legame filologico che connette Disney a Dubai: Disneyland per prima ha rivelato l’essenza, il nòcciolo del neo-turismo, un turismo che va a visitare ciò che non esiste. Eliminando le contraddizioni architettoniche reali, concentrando gli elementi pittoreschi in una sintesi più vera del vero, Disneyland è stata il modello delle prime «isole pedonali» americane e dei primi mall (per esempio il Nicollet Mall di Minneapolis, del 1963); la Main Street di Disneyland era una copia infedele di quella dove Walt era cresciuto, ma a quella copia si sono successivamente rifatte le «vere» Main Street di molte piccole città. Soprattutto, alla filosofia disneyana si è ispirata Las Vegas, quel «sogno nel deserto» da cui è stato fortemente suggestionato lo sceicco Rashid (il padre dell’attuale sceicco Mohammed). Disneyland, come si sa, non è stata l’ultima frontiera per l’instancabile Walt: negli ultimi anni della sua vita tutta l’energia la spese per allontanarsi dalla finzione dei cartoon e avvicinarsi all’edificazione reale di un’utopia tecnologica (dalla leggerezza delle fiabe al Real Estate, appunto).

Diede impulso alla EPCOT, acronimo di Experimental Prototipe Community of Tomorrow, e all’Imagineering Department, conglomerato di immaginazione e ingegneria. Chiamò a lavorarvi grandi architetti, da Aldo Rossi a Robert Venturi: per innalzare davvero, tra gli uomini in carne e ossa, «il Paese più felice del mondo». È a questo punto che Dumbo e Bambi, e Pippo e Clarabella e Zio Paperone, mostrano il loro lato oscuro: dove la beata fiducia nell’onnipotenza dell’estro diventa convinzione di possedere in proprio le chiavi della felicità universale; dove un crocevia di convivenze tende alla sordità asettica del plastico e del prototipo – come se il mondo, per essere felice, dovesse ridursi alla parodia di se stesso. «Per il loro bene», certo: questo giace nel fondo della «vision»; che cos’è il Paese che sto visitando, se non una risibile parodia accelerata dell’Occidente? Nel 1955, all’inaugurazione, fu posta una targa all’ingresso di Disneyland: «Qui tu lasci il presente per entrare nel mondo di ieri, di domani e della fantasia». Lasciate ogni pensiero, voi ch’entrate.
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